Indisponibilità di farmaci, mercato parallelo e diritto alle cure. Questione etica e campo di un’importante battaglia civica

Diritto di accesso alle cure. Fino a poco tempo fa questo tema, oggetto di grandi battaglie da parte delle associazioni dei pazienti, riguardava prevalentemente la possibilità di avere tempi veloci di registrazione di trattamenti innovativi, la rimborsabilità di farmaci ritenuti indispensabili, i prezzi dei medesimi, insomma tutte situazioni nelle quali era scontato che i farmaci ci fossero e che fossero potenzialmente disponibili per i malati. 

Da qualche tempo è emerso un nuovo problema denunciato dalle associazioni dei pazienti, da Aifa e riportato con dovizia di particolari in un recente numero del Corriere Salute: la carenza e la indisponibilità di molti farmaci. Nel sito dell’Aifa sono indicate 2000 specialità attualmente non trovabili, di cui 500 non sostituibili. Le cause sono dovute a vari fenomeni. Innanzitutto la mancata produzione da parte dell’azienda titolare del brevetto, magari perché i costi sono diventati superiori ai guadagni previsti (in questo caso si parla di carenza e va segnalata per tempo ad Aifa). Altre volte le aziende di farmaci equivalenti, che si sono affacciate sul mercato con prezzi molto competitivi, non ritengono più remunerativa la commercializzazione dei loro prodotti; questo ingenera un repentino aumento della domanda che non può essere facilmente soddisfatta dall’azienda titolare del prodotto con brevetto scaduto, causando ritardi notevoli per l’approvvigionamento da parte dei pazienti; altre volte, invece, la causa risiede nell’indisponibilità in farmacia del prodotto determinata dalla vendita parallela, il cosiddetto  “parallel trade”, all’interno dell’Unione Europea.

È soprattutto questo il fenomeno di cui si sta parlando molto in questi mesi. In pratica, come ha spiegato bene il Corriere Salute, in Italia il Governo fa una trattativa virtuosa per abbassare il prezzo dei farmaci, i grossisti rivendono quegli stessi farmaci sul mercato europeo, dove i prezzi sono più alti, quindi vantaggiosi per loro. Nulla di illegale perché siamo in un ambiente di libero mercato, ma l’effetto è paradossale: l’Italia si comporta in modo virtuoso, abbassando i costi della spesa farmaceutica e consentendo in questo modo di allargare la platea dei trattamenti a disposizione dei pazienti, ma ne riceve un danno a carico dei pazienti stessi che non trovano quanto serve loro per curarsi. In realtà l’Aifa ha adottato misure di contenimento di questo problema, come l’autorizzazione all’acquisto all’estero da parte delle strutture sanitarie in situazioni di emergenza e il blocco temporaneo delle esportazioni, come avvenuto per esempio per il farmaco  SINEMET (contro il Parkinson)  il 21 maggio scorso.  Si sta anche pensando di predisporre adeguati “campanelli d’allarme” riguardanti la tracciabilità per avere immediatamente notizia di flussi anomali, vale a dire un sistema di monitoraggio tempestivo per evitare che l’indisponibilità pesi sui pazienti, con il suo carico di ansie e sofferenze. 

C’è però da domandarsi se sia eticamente corretto che un soggetto economico che commercia in farmaci possa superare i limiti imposti dall’interesse generale a garantire le cure delle persone del proprio Paese. Vale la pena citare un Testo condiviso sulla distribuzione dei medicinali del 2016 nel quale c’è scritto tutto e che richiama  il D.Lgs. 19 febbraio 2014, n. 17, che modifica la definizione di Obbligo di Servizio Pubblico, nella seguente descrizione: «l'obbligo per i grossisti di garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato, nei limiti di cui i predetti medicinali siano forniti dai titolari di AIC, e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione; a tal fine non possono essere sottratti, alla distribuzione e alla vendita per il territorio nazionale, i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti al fine di prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità, anche temporanee, sul mercato e in assenza di valide alternative terapeutiche». Assieme a questo si prevede un sistema di segnalazione delle carenze e delle indisponibilità.

A quanto pare tali norme non sono bastate a contenere il fenomeno delle esportazioni parallele, nonostante l’Obbligo di Servizio Pubblico. Questo rappresenta quindi un fronte importante di “battaglia civica” per far valere il diritto dei cittadini all’accesso alle cure, che ci sarebbero, ma non ci sono!


di Teresa Petrangolini​

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