Alessia Brunetti (Associazione Sindrome X Fragile): “Un lungo percorso per affermare l’attivismo civico di genitori e figli con la patologia rara”.

Una foto in movimento, di quelle sfocate che, più che cogliere i lineamenti delle persone, ne colgono l’azione. Ecco a cosa penso quando rifletto su cosa posso trasmettere con questo breve scritto nel tentativo di raccontare, in un intreccio, la mia vicenda personale, la storia della Associazione Italiana Sindrome X Fragile che coordino da due anni e il percorso che altri hanno pensato, voluto e costruito nel Patient Advocacy Laboratory di ALTEMS.

Dell’Associazione Sindrome X Fragile, sono stata Vice Presidente per 6 anni, accanto a un’altra donna, Donatella Bertelli, che per 9 anni ne è stata la presidente La nostra Associazione nasce nel 1993, due anni dopo la clonazione del gene responsabile della sindrome x fragile, condizione genetica iscritta nel registro delle malattie rare nel 2001 che rappresenta la prima causa di disabilità intellettiva di tipo ereditario e la prima causa monogenica di disturbo dello spettro autistico. Nasce grazie al supporto e allo stimolo, tra gli altri, del professor Giovanni Neri, genetista presso il Policlinico A. Gemelli e l’Università Cattolica, che allo studio della Sindrome X Fragile, ma prima ancora all’incontro e al supporto delle famiglie, ha dedicato l’intera vita professionale. Nasce con lo scopo, dichiarato nello Statuto del 1993, di “riunire e coadiuvare le famiglie, facilitando il loro percorso di accettazione del proprio figlio con sindrome x fragile”. Nasce a partire da un pugno di famiglie, che immaginiamo scosse dall’aver ricevuto poco tempo prima la diagnosi del proprio figlio, che si incontrano da un notaio scoprendo di aver in comune qualcosa di grande, nonostante la distanza dei luoghi di residenza, la differenza di orientamenti e di percorso umano e professionale. Quello che avevano in comune non era la diagnosi del proprio figlio, un dato statico e immutabile messo nero su bianco su un foglio di carta, ma qualcosa di importante da fare. 26 anni dopo gli agenti continuiamo ad essere noi genitori, ma non solo: abbiamo compreso molto bene che c’è l’opportunità di lasciarci guidare da persone con sindrome x fragile, dai loro bisogni e dalle loro aspettative; persone cui lasciare la possibilità di indirizzare le politiche della nostra Associazione: una scelta che è una sfida che non possiamo non cogliere. Ha senso allora che i contorni siano sfumati, rendendo non identificabili i protagonisti di questa storia, ma qualcosa da fare, che passa di mano in mano, in un passaggio di testimone che va oltre la stessa questione della sindrome x fragile, per abbracciare un’idea di attivismo civico che diventa il paradigma di operosità attraverso il quale spingere la società in avanti. Quelle azioni portano qui, a una Associazione che ha 13 sezioni e gruppi territoriali, che conta centinaia di membri e che è in continua crescita, che punta alla istituzione a livello statutario, come avverrà nella prossima Assemblea dei Soci del 13 aprile, di una Consulta della progettualità composta da persone con sindrome x fragile, che è dunque in continuo movimento. Come è in movimento, anche grazie a noi, la società in una continua dinamica tra ciò che già c’è e ciò che spingiamo perché ci sia, che è il contesto con il quale dobbiamo ogni giorno misurarci. Un contesto certamente complesso, nel quale la dirigenza della Associazione continua a essere composta da genitori, per lo più madri, che svolgono la propria responsabilità istituzionale insieme a svolgere non senza difficoltà la propria professione, che nel mio caso è quella di impiegata di banca. Ecco allora che il mio percorso personale, che 10 anni fa ha intrecciato quello della Associazione alla nascita di mio figlio con sindrome x fragile, si intreccia con l’iniziativa del Patient Advocacy Laboratory nel desiderio di dare risposta alla esigenza di consapevolezza e professionalizzazione dei manager di associazioni di pazienti. Non posso dire che il mio percorso degli ultimi 10 anni sia stato scevro di occasioni di formazione, che sono stati molti e fortemente cercati e voluti, mettendo insieme il mio desiderio di portare avanti il mio ruolo con competenza e del mio approccio alle sfide della vita, che è un approccio culturale, per partecipare efficacemente ai tavoli istituzionali a cui, nel mio ruolo, sono chiamata. Tuttavia devo dire che, nonostante i miei sforzi volti a frequentare diversi contesti e occasioni di formazione, non avevo mai trovato un percorso strutturato che consentisse una formazione a 360 gradi a supporto delle competenze manageriali di dirigenti di associazioni di pazienti. Ho dunque colto con piacere l’iniziativa nata in seno al PAL di ALTEMS di creare il primo Master in Patient Advocacy Management, iniziativa che ha trovato molti partner sensibili che hanno sponsorizzato il corso riconoscendone il valore e riconoscendo l’importanza di una competente azione di patient advocacy a livello sia interno che esterno delle loro organizzazioni.

Torno dunque alla immagine utilizzata in apertura, la foto in movimento. In fondo lo è questo scritto, che non intende cimentarsi nel vano sforzo di delineare i contorni di qualcosa che è in movimento, ma di sottolineare l’importanza, la necessità, la poesia, l’indefinito che c’è in ogni azione che tende al futuro. Come quella di ognuno di noi.

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