CONFRONTO DIRETTO

Un webinar per la presentazione dei contenuti di una ricerca realizzata dal PAL

Patient Advocacy Lab di Altems, in una ricerca unica nel suo genere, ha analizzato i processi sottesi alla nascita e al cambiamento organizzativo delle associazioni di cittadini e pazienti impegnate in sanità in Italia. Il lavoro dal titolo “La storia delle associazioni dei pazienti e dei cittadini impegnate in sanità in Italia: conquiste, ostacoli e trasformazioni” è stato condiviso e commentato in un recente incontro, coordinato da Nicola Cerbino, durante il quale si sono confrontati diversi importanti attori del Servizio sanitario nazionale.

 

 


                                                       

GUIDO CARPANI: I limiti della partecipazione nell’attuale legislazione del Ssn

Per capire l’importanza del nostro SSN per  destinatari di un servizio che viene assicurato  con carattere di generalità a tutti in attuazione del diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost. , ricordo che quello in questione è l’unico diritto che viene definito fondamentale nella nostra Costituzione; godere di questo diritto è ciò che ci rende cittadini. Per quanto riguarda le occasioni di implementazione della partecipazione degli utenti al servizio sanitario, partirei dalla definizione dei LEA. All’inizio degli anni ‘90 il Piano Sanitario Nazionale veniva sottoposto al parere sia del Parlamento che dei Sindacati prima di essere approvato (art. 1 del dlgs. 502/92); questi ultimi erano chiamati ad esprimersi non solo (e non tanto) quali rappresentanti dei lavoratori del servizio sanitario ma soprattutto come rappresentanti dei destinatari delle prestazioni del SSN. Nella legislazione attuale invece i cittadini non vengono coinvolti nel processo di definizione dei LEA. Probabilmente conscia della necessità di coinvolgere gli utenti la Commissione per l’aggiornamento dei LEA (art. 1, c. 557 della legge di stabilità per il 2016), nell’intento di assicurare  una ricognizione ampia, ed il più possibile completa dei bisogni di salute da soddisfare, ha stabilito che le proposte di aggiornamento dei Lea da rivolgere alla Commissione stessa possano essere formulate anche da singoli cittadini e dalle associazioni dei pazienti in quanto portavoce dei bisogni di salute dei cittadini che nei LEA devono trovare risposta. Perché quindi non coinvolgere le associazioni degli utenti del servizio sanitario, come nel passato, fin dall’inizio nel procedimento di definizione dei livelli? Altro ambito nel quale il cittadino-utente può essere coinvolto è la verifica delle attività dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, disciplinata dall’art. 2 del  D. Lgs. 171/2016. Nel processo di definizione dei criteri per la valutazione delle attività potrebbe essere prevista anche la partecipazione delle associazioni di cittadini e pazienti. In questo modo l’utente potrebbe concorre non solo alla definizione a monte dei bisogni da soddisfare (i LEA), ma anche alla valutazione, a valle, dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi fissati.

 


LAURA DEL CAMPO: Ostacoli e successi nel rapporto con la rete e con le istituzioni
FAVO è una federazione di associazioni di volontariato in oncologia, a cui nel tempo si sono legate circa 550 associazioni su tutto il territorio nazionale, associazioni di pazienti che offrono servizi diversi e assistono malati affetti da differenti neoplasie, ma che nel tempo hanno capito quanto sia importante, pur mantenendo la propria autonomia, unirsi in rete e collaborare per fare fronte comune anche di fronte alle istituzioni. L’unione fa la forza, soprattutto in questo periodo di evoluzione. Solo chi vive o ha vissuto direttamente o indirettamente la malattia può proporre soluzioni innovative e migliorative del sistema. Per questo siamo impegnati affinchè alle associazioni sia permesso di partecipare ai tavoli decisionali, anche europei, ma contemporaneamente lavoriamo affinché le associazioni siano in grado di fare davvero la differenza, perché per sedersi a un tavolo tecnico bisogna essere adeguatamente formati e preparati. Il volontariato oncologico non è più infatti solo un volontariato che "fa" ma un volontariato che "progetta" ed oggi le associazioni sono chiamate sempre di più ad avere un ruolo importante - anche riconosciuto formalmente - nei processi decisionali, ma per questo è necessaria una formazione e un aggiornamento costante. Da sempre FAVO lavora in stretta sinergia con le istituzioni e le società scientifiche. In particolare, ogni anno attraverso l’Osservatorio sulla Condizione Assistenziale dei Malati Oncologici, promosso da FAVO e realizzato insieme a CNR, AIOM, AIRO, SIE, INT, FIMMG, SIPO, SICO, AIRTUM, Federsanità ANCI, l’INPS, FIASO, SIAPEC, ACC, FNOPI, GIMEMA, FMP, FICOG e Ministero della Salute, viene pubblicato un Rapporto che evidenzia i maggiori bisogni e le maggiori criticità su tutto il territorio nazionale, oltre a proporre soluzioni sostenibili e realmente attuabili. E se prima era FAVO a chiedere alle istituzioni di aderire all'Osservatorio, ora sono gli stessi stakeholder a chiedere di collaborare con noi, perché l’Osservatorio ha dimostrato nei fatti di essere in grado di migliorare la qualità di vita dei malati oncologici, attraverso la promozione di leggi e buone pratiche.


MARGHERITA GREGORI, ANNALISA SCOPINARO: Luci e ombre nel rapporto con gli stakeholders e le difficoltà del rapporto con la rete
UNIAMO è una Federazione che ha 21 anni e raccoglie 150 associazioni di malattie rare, il nostro percorso riguarda la capacità di costruire relazioni. Per le associazioni che fanno parte della federazione è essenziale costruire ponti, con gli stakeholders, con altre associazioni e con le istituzioni. La velocità con cui si tessono queste relazioni è strettamente legata al cambiamento e alla capacità di produrre innovazione: più sono le relazioni, maggiore è il cambiamento e l’innovazione. Un limite di questa velocità è che le associazioni devono aumentare al massimo i loro sforzi per adattarsi al cambiamento, ma la buona notizia è che lo stanno già facendo. Le difficoltà a fare rete sono tante, le associazioni nascono da un bisogno “di pancia”, perché chi viene dopo di noi non abbia le stesse difficoltà a reperire informazioni, percorsi, punti di riferimento. Proprio per questo è necessario affidarsi alle federazioni di secondo livello, che hanno la capacità di unire i bisogni trasversali e la compattezza e la preparazione per presentarli alle istituzioni, strumenti che a volte mancano alle singole associazioni perché composte da genitori, pazienti e caregiver. Bisogna riuscire ad affidare ad altri la nostra rappresentanza, altri che poi siamo noi stessi, perché in quanto federazione siamo l’espressione delle associazioni che ne fanno parte. Molte associazioni si fermano al soddisfacimento del bisogno primario, legato ad un modo vecchio di fare associazione, basato sul bisogno della singola patologia, e questo comporta una difficoltà di fare rete ma anche una disuguaglianza nella rappresentanza delle diverse patologie di fronte alle istituzioni. La difficoltà è riuscire a perdere una parte di sé per guadagnarne una più ampia, che è la rappresentanza forte dei pazienti. L’importante non è far parlare tutti, ma far sentire una voce che risuoni unitaria e che possa dimostrare alle istituzioni che dietro c’è sostanza, in maniera forte e univoca, perché disseminare le nostre energie su più voci crea solo una dissonanza che ci porta a non essere ascoltati a livello istituzionale.


ALESSANDRA LO SCALZO: Il coinvolgimento delle associazioni come “termometro” nell’HTA 
Negli ultimi 15 anni sono stati sperimentati numerosi strumenti a livello nazionale ed europeo per il coinvolgimento dei pazienti nell’HTA, e il messaggio che ne emerge è che le associazioni non devono accontentarsi di essere presenti ai tavoli finali, ma coprodurre la conoscenza e le informazioni evidence-based (in questo caso basate sulle evidenze dei pazienti). Non accontentarsi quindi di essere incluse alla fine del processo, ma essere presenti nell’assessment attraverso la ricerca e gli strumenti delle scienze sociali applicate che permettono di tradurre la voce dei pazienti in un linguaggio scientifico. Molto è stato fatto in questi anni dalle associazioni dei pazienti in termini di formazione, dall’altra parte le agenzie e gli enti devono essere ancora più capaci di accogliere questa voce e fornire strumenti e percorsi adeguati alle associazioni, che spesso vengono tacciate di essere aneddotiche ed emotive, per esprimere le istanze dei pazienti in un linguaggio scientifico lavorando sulla robustezza metodologica dei metodi di raccolta dei bisogni, aspettative, expertise sulla tecnologia. Bisogna delineare procedure esplicite e trasparenti, messe nero su bianco, perché coinvolgere le associazioni è un obbligo e purtroppo negli ultimi cinque anni sono stati sperimentati soprattutto rapid assessment, che si concentrano solo su efficacia e sicurezza, non lasciando molto spazio alla partecipazione delle associazioni se non in piccolissima parte. È importante quindi che le associazioni lavorino per mantenere ed implementare i risultati ottenuti.


STEFANO LORUSSO: Innovazioni, modalità e buone pratiche per un’interazione costruttiva tra associazioni e istituzioni

L’esperienza pandemica ha reso evidente sia alle istituzioni che alle associazioni quanto siano imprescindibili le une dalle altre. Negli scorsi mesi sono stati numerosi gli esempi virtuosi di collaborazione tra organizzazioni sanitarie e associazioni, sia nella proposizione che nella concreta gestione di alcuni servizi, come l’organizzazione dell’assistenza stessa, la continuità delle cure, le politiche farmaceutiche e l’assistenza domiciliare. Le associazioni non devono più essere sostituti ma partner delle istituzioni nella definizione dei bisogni e nella programmazione, non solo a livello ministeriale ma anche aziendale. Mi piacerebbe che le associazioni avessero un ruolo più importante e regolamentato nei processi di programmazione e pianificazione delle aziende sanitarie, questo richiederà un lavoro di codifica attraverso il Registro del Terzo Settore, la capacità di fare rete ed il coinvolgimento delle associazioni nei processi di HTA. Per questo il Ministero della Salute ha costituito un gruppo di lavoro per rendere meno occasionale la partecipazione delle associazioni, che ha come obiettivo principale il coinvolgimento delle associazioni di cittadini e pazienti operanti in ambito sanitario innanzitutto in specifiche attività del Ministero, come la programmazione e la pianificazione sociosanitarie, i processi di innovazione tecnologica e i processi di valutazione delle tecnologie. Il gruppo intende definire i rapporti con l’associazionismo determinando le modalità di interlocuzione con il Ministero e le relative forme di partecipazione. Un’ulteriore sfida per il gruppo, a cui parteciperanno i rappresentanti delle associazioni e delle regioni, sarà provare ad individuare, armonizzare e favorire le best practices per la partecipazione delle associazioni su tutto il territorio nazionale, è inoltre previsto l’utilizzo di una banca dati che raccoglierà le associazioni operanti in ambito sanitario distinguendole per area patologica, proprio al fine di avere un accesso diretto, semplificato e istituzionalizzato alle procedure e alle tempistiche di coinvolgimento. Bisogna rompere gli schemi organizzativi di un modello di governance affidata solo apolitici, amministrativi o esperti, attraverso una maggiore apertura delle istituzioni e una maggiore propositività e crescita culturale delle associazioni.



FRANCESCA MOCCIA: Conciliare aderenza alla mission e cambiamenti di governance

La storia delle associazioni è fatta di persone, con la loro capacità di credere in questo percorso e di piantare dei semi che permettono di raccogliere dei frutti nel tempo. Nel luglio 2019 si è svolto un incontro sul tema della global health, la salute globale, a cui ha partecipato anche Cittadinanzattiva, ed uno dei temi emersi è stato proprio l’essere in attesa di nuove pandemie, che porteranno a nuovi scenari e nuove sfide per la salute globale. Il ruolo delle organizzazioni è proprio di cogliere alcune cose prima di altri, e Cittadinanzattiva ha svolto questo ruolo di apripista, insieme a tante altre. La sfida più grande è conciliare la vicinanza alle persone alla necessità di strutturarsi come organizzazioni, perché da una parte devono conservarsi legate alle proprie radici, dall’altra devono crescere e strutturarsi. Da una parte conservare lo slancio, la purezza e la motivazione del “perché non accada ad altri” citato nella ricerca, dall’altra interloquire con le istituzioni ed essere presenti ai tavoli, ma senza istituzionalizzarsi troppo. I cambiamenti di Cittadinanzattiva sono stati legati ai cambiamenti del SSN, l’associazione è nata nel 1978, è un’associazione che ha tanti anni e si è sviluppata con una struttura a rete attraverso diversi passaggi cruciali, molti legati proprio alle riforme del SSN. Nel 2000 anche Cittadinanzattiva si è data un nuovo assetto, ma ha conservato il progetto originario di attivismo civico e di tutela dei diritti. La pandemia è stata una grande occasione di cambiamento ma anche di sfida per tante organizzazioni, dimostrando quanto sia cruciale aprirsi a collaborare. La pandemia ha creato ponti, bisogna solo vederli e continuare a lavorarci su, perché nei fatti si è già superato il problema della collaborazione: abbiamo lavorato gomito a gomito senza steccati e senza essere autoreferenziali.

 


UGO TRAMA: La collaborazione tra attivismo civico e istituzioni nel contesto regionale
Per la Regione Campania la collaborazione con le associazioni non rappresenta un obbligo ma un momento di condivisione dei percorsi assistenziali, in quanto le associazioni sono le nostre sentinelle sul territorio e devono essere sempre più coinvolte. Personalmente cerco di mantenere un rapporto costante con le associazioni, in quanto ci permettono di verificare periodicamente i provvedimenti che mettiamo in campo, provvedimenti che devono essere condivisi con le associazioni, perché sono loro ad essere presenti sul territorio e ad avere contatto diretto con gli assistiti e possono suggerire alla Regione quali sono gli interventi migliorativi da attuare. Le associazioni non devono essere per le Regioni amici compiacenti, ma fornire critiche costruttive su come poter migliorare i processi mettendo in luce quelle criticità che a volte gli amministratori non vedono, e rivestono una grande importanza sia nella fase preparatoria dei provvedimenti che nella fase successiva di sentinelle sul territorio della loro attuazione. È importante che le associazioni si formino per comprendere quali sono i limiti, sanitari ed economici, delle amministrazioni, così da poter proporre e realizzare insieme provvedimenti che siano concretamente attuabili e non solo un’azione di facciata. Coinvolgere le associazioni è un obbligo morale per poter attuare politiche sanitarie che siano sempre più a misura dei pazienti.

 

 

 

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