Storie di Sanità partecipata: verso un modello per l’apprendimento

Nel mondo dell’associazionismo dei pazienti e dei cittadini impegnati in sanità ci sono tante storie di successo, di iniziative condotte per tutelare un diritto, di strade nuove intraprese per farsi ascoltare. Eppure di queste esperienze si parla poco e i motivi sono tanti

di Teresa Petrangolini

 

La disattenzione della comunicazione in generale per le buone notizie e per quanto si muove fuori dai riflettori dell’attualità, del sensazionalismo e della sfera politica e giornalistica sono alla base di questa mancanza. In realtà parte di questa responsabilità risiede nelle associazioni stesse che non si fermano a far conoscere e a formalizzare in documenti scritti e consultabili i loro risultati. C’è sempre un nuovo obiettivo da raggiungere, un bisogno insoddisfatto di tutelare e non ci si ferma a raccontare la propria storia, sia per riflettere sul lavoro svolto, sia per consentire ad altri di copiare le proprie buone pratiche di azione e di partecipazione.

Per questo motivo il Patient Advocacy Lab di ALTEMS ha deciso di impostare la sua nuova ricerca, la quinta all’appello, su Storie di Sanità partecipata: verso un modello per l’apprendimento, attraverso la quale raccogliere un repertorio di esperienze con i racconti delle associazioni e costruire modelli di partecipazione efficace da replicare nel tempo. Sono state scritte in questi mesi circa 20 case studies da altrettante associazioni, che si sono applicate a compilare una griglia, anche abbastanza complessa, nella quale articolare le azioni di policy, di tutela e di interlocuzione scelte per la ricerca. Ne è venuto fuori un quadro interessante e in certi casi emozionante, almeno per me, di quanto lavoro fatto, quanti ostacoli superati, quanti passi in avanti condotti sulla strada dell’advocacy dei pazienti. C’è chi è riuscito a far mettere in rimborsabilità un farmaco fondamentale per la patologia considerata, chi ha imparato a fare la valutazione partecipata dei servizi per evidenziare intoppi e azioni di miglioramento da richiedere alle istituzioni, chi ha ottenuto leggi e stanziamento di fondi, chi garantisce, sulla base del principio di sussidiarietà, servizi di supporto e accompagnamento previsti da piani e leggi nazionali, chi ha aperto nuovi spazi per la cura e l’assistenza di malattie non tutelate. Un grande repertorio da cui la ricerca sta traendo le informazioni per costruire un Report finale che darà un sistematicità a tutto questo materiale. Si parlerà di che cos’è una buona pratica, di che cosa significa partecipazione, di come vincere l’inconsapevolezza delle associazioni circa il valore delle proprie azioni, di come si formalizzano i successi, di come replicarli, di che cosa c’è in comune tra una case studies e l’altra, di come costruire formule vincenti.

Perché tutto questo. Per un desiderio di conoscenza che è sempre lo scopo primo di una ricerca, ma anche per offrire strumenti di azione alle associazioni e per aiutarle nelle loro battaglie, cioè per fare di tutte queste storie, queste analisi, queste classificazioni organizzative, strumenti di apprendimento e di acquisizione di competenze, che già ci sono ma che nessuno formalizza, o per capire i buchi e le carenze comportamentali e di pratiche da colmare. Ormai ci sono spazi di partecipazione molto più ampi garantiti da istituzioni nazionali e regionali; capire come muoversi e quali strategie intraprendere per farsi ascoltare ed agire è di fondamentale importanza.

Il risultato finale della ricerca sarà presentato a Treviso, il 6 settembre, in occasione della Summer School “Patient Advocacy Camp”, presso il Centro studi Lorenzon dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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