Linee guida sulla sedazione palliativa nell’adulto


Nelle fasi avanzate e terminali di malattia, sia oncologica che cronico-degenerativa, ma anche nelle fasi terminali di patologie acute di vario tipo (politraumatismi, malattie infettive anche epidemiche, ecc.) compaiono sintomi e condizioni cliniche che infliggono gravi sofferenze al malato e che vanno trattate con le cure palliative.

Una parte di questi sintomi e condizioni cliniche diventano però refrattari ai consueti trattamenti (farmacologici e non farmacologici) di tipo palliativo, rendendo necessaria l’attivazione della Sedazione Palliativa (SP) che riduce o abolisce la percezione della sofferenza psico-fisica tramite la riduzione o soppressione della vigilanza (coscienza).

Analogamente, nella sospensione dei trattamenti di sostegno vitale compaiono sofferenze che non possono essere prevenute e trattate se non tramite la SP.

Agendo sulla vigilanza (coscienza) e su malati in condizioni di fragilità psico-fisica per fase avanzata o terminale di malattia, la SP risulta una procedura terapeutica delicata che esige di essere condotta in modo corretto rispettando i requisiti clinicoorganizzativi e gli specifici aspetti etico-deontologici e giuridici. A causa della molteplicità delle definizioni di SP esistenti in letteratura e della variabilità delle prassi cliniche nei vari setting di cura (domiciliari e di ricovero ospedaliero o residenziale territoriale) la valutazione della frequenza con cui viene attuata la SP è difficoltosa e controversa.

In letteratura sono citati frequenze variabili (18% in uno studio italiano1, range compreso tra 2-52% in Canada2; 10-18% dei decessi in Europa, 10% dei decessi negli USA4, 7-18% dei decessi in cure palliative5) che risentono anche della sensibilità culturale dei curanti e del grado di diffusione delle cure palliative. Poiché la disponibilità di cure palliative in Italia non è ancora in grado di coprire i bisogni di tutti i malati in fase avanzata e terminale di malattia e la sensibilizzazione dei sanitari al controllo delle sofferenze è ancora insufficiente per un deficit di formazione, ne risulta che la SP è una procedura insufficientemente conosciuta e attuata in tutti i setting di cura.

Pertanto, occorre che essa sia conosciuta e praticata con maggior frequenza oltre che essere attuata correttamente laddove ancora non lo è appieno. Di qui l’importanza di disporre di una linea guida nazionale  che indirizzi i protocolli attuativi della SP delle équipe curanti in tutti i setting di cura, al fine di rispondere in modo efficace ai bisogni delle persone malate attuando un controllo delle sofferenze refrattarie di fine vita al fine di migliorare la qualità di vita residua e di morte del malato oltre che la qualità dei vissuti dei familiari, di facilitare la loro elaborazione del lutto e di ridurre il distress morale dei professionisti sanitari che si confrontano con le sofferenze delle persone da loro assistite.


 

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